mercoledì 13 novembre 2013

Non dimentichiamoci dei Beat

Non dimentichiamoci della beat generation dei loro amori impazziti e degli abbandoni silenziosi, della voglia di partire verso l'ignoto, il nuovo, la grande metropoli, e il bisogno fetale di tornare alla casa di origine. Della consapevolezza del grande, dell'infinito, e di quanto questo potesse determinare il loro moto impazzito frenetico, orgiastico. Non mischiamoli con la merda del superficiale, dell'apparente, ciò che loro agirono era figlio dell'incapacità di posticipare un bisogno impellente di vita, di essere, che il loro mondo circostante gli aveva negato frustrandoli, per ingordigia di materia. Lo spirituale che riuscivano ad estrapolare a tirar fuori dal concreto, degli oggetti, che essi fossero paesaggi, macchine, o persone. Un flusso in divenire, che assecondava le loro dinamiche inconsce private di una vera capacità di sublimare. Accontentandosi di morire sui binari della ferrovia, sotto una pioggia che un tempo gli faceva da sottofondo. Schiacciati alla fine dalla loro stessa ricerca frenetica. Ma possiamo dire che loro la vita l'anno attraversata, come un proiettile nel burro. Senza farsi impantanare dalla viscosità del moderno, dalla sua perdita di essenza vitale. Loro la vita se la sono fatta "fai da te". Sempre meglio che morire sul divano di casa.

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